Nel chiacchierato e centralissimo bar del mio grasso grosso paesello meridionale riuscire a mettere le mani su Dai Ressya Goutou (Iron Horse, per gli amici) era un’impresa. Orde di cassaintegrati cinquantenni barbutissimi, falsi invalidi dalle panze prominenti e dalla vista aguzza, fancazzisti da esportazione, sedicenti giocatori di biliardo, evasori fiscali e casi umani di ogni genere presidiavano in pianta stabile il cassone, inondandolo disperatamente con cicche di sigarette e piogge di gettoni d’oro da
Non per stereotipata esterofilia, ma fin dai tempi della gloriosa Telemontecarlo e della sua vetrina sul calcio internazionale ho sempre apprezzato il campionato inglese ben più di quello italiano, così inquinato da tatticismi esasperati, simulazioni olimpioniche e dirigenti piagnucolosi. Nel football anglosassone intravedevo una sorta di oasi selvaggia, un inconsueto rito officiato da uomini rudi, ignoranti e con parecchi spigoli in grado di correre e voltolarsi nel fango come bestie per più di un’ora e
Il libro non è un bene come un altro. Si tratta del veicolo culturale per eccellenza, più dei supporti ottici. Posso apprendere, chessò, la storia della letteratura o quella del cazzeggio nella Mesopotamia antica da un CD musicale o da un DVD/BD con su immortalato un film? Magari sì, ma è più complicato. Se in qualsivoglia liceo e università del mondo, nonostante tutto, gli strumenti principali di apprendimento restano degli insiemi di pagine stampate, numerate e aromatizzate rilegati in pratici volumi un motivo ci sarà. Il fatto che
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