È questa la poco originale storia dei Digable Planets, talentuosa formazione anni 90 maestra nel fondere (acid) jazz e hip hop probabilmente in uno dei più fluidi, organici e naturali dei modi possibili, facendo fruttare la lezione di istituzioni dell'”underground rap” quali A Tribe Called Quest, Gang Starr e The Roots. L’album di esordio Reachin’ (A New Refutation of Time and Space), nel quale saccheggiavano a mani basse Art Blakey, Herbie Hancock, Kool & the Gang e tanta altra stupenda gente, fu lanciato in
Ho sempre reputato inumano che le rockstar siano obbligate per contratto a morire tra aspri duoli o ad abbandonare trentenni (manco fossero campioni di atletica leggera con la data di scadenza ben impressa sul lato b) il mondo tutto frizzi e cazzi degli Mtv awards per chiedere asilo politico da latitanti a qualche oscuro circolo bocciofilo. A travestirsi con barbe finte da montanaro, tipo l’ultimo Sting, e dire addio alle virili chitarre e agli effetti del mestiere per dedicarsi esclusivamente alla loro nuova, fiammante passione: suonare il
Ti capita mai di essere affascinato da una cosa, fino al punto di provare piacere quasi fisico nell’osservarla, una cosa talmente trash, ma questo non è probabilmente il termine giusto, andrebbe amalgamato con un po’ di aggettivi rendenti l’idea di una superficiale, animalesca e gradassa ottusità circondata da nugoli di brufolosissimi luoghi comuni intenti a far festa e a ridefinire per sempre la parola “qualunquismo”, che pensi no, non è poffibile, se l’avessi voluta fare io apposta, anche impegnandomi, mettendocela
Tre fanciulle acqua, sapone e nutella incontratesi su un treno un dì, di martedì. Tre tastiere d’annata, armonie corali e una drum machine per un sound atmosferico distante mille miglia tanto da eiaculazioni similclassiche quanto dal baccano rocchenrolle che ormai ci affligge. Degli Stereolab inevitabilmente dekrautizzati resi ancora più ripetitivi, inoffensivi e cinematografici dalle avversità della vita (il monicker Au Revoir Simone deriva da una frase presente in Pee-wee’s Big Adventure di Tim Burton
È un po’ che l’amato Renato sbraita più del solito per ottenere quell’attenzione in grado di fargli dimenticare per qualche ora la sua triste condizione, quindi negargli un post sarebbe a dir poco anticostituzionale. Si pensi che l’altra sera a Controcampo una timida semibattuta di Mughini (!) sul ministro in questione ha generato momenti di autentico gelo siberiano in studio (immagino che verrà epurato già dalla prossima puntata, come la topa che ha fatto sgusciare via dal vestito il capezzolo malandrino).
I Kraftwerk, non lo scopre certo il mio costumista, sono uno dei gruppi più incredibilmente geniali e decisivi mai partoriti. Non solo sono stati a dir poco insostituibili per lo sdoganamento della musica elettronica, un tempo rinchiusa nelle accademie. Ma senza di loro perfino baldi musicisti come i Platters, Michael Jackson e Anna Tatangelo avrebbero probabilmente battuto ben altre tangenziali. Il loro messaggio, recentemente appena riverniciato da una patina cupa e asfissiante, è stato capace di attraversare indenne intere ere
(E in Cangurolandia). Il gruppo che amo. In questo momento. Decisamente, i Cut Copy. Dan Whitford, professione aiutoimbianchino, graficosodomizzato, apprendistasalumiere diggièi. Dopo un periodo relativamente lungo di addestramento. Reclutò i suoi due adepti, australiani ambedue. (Mai capito il senso di questa nazione, tanto grande, tanto sola soletta sulle carte geografiche, io lascerei democraticamente decidere agli aborigeni o ai masupiali le sue sorti ma vabbè). All’inizio degli anni 2000
Non fumo. Ma uno dei ricordi d’infanzia più stupendosi e che conservo con maggior cura è quando andavo a sniffare i capelli di mia mamma conditi dal profumo delle Emmesserosse o Lindablù, mentre lei era intenta a disegnare furiosamente tre e mezzo o uni meno meno colorati e giganteschi sui compiti di malcapitati alunni cresciuti solo fuori. Inoltre, mi piaceva squartare sigarette in apparenza innocenti per masticarne avidamente e incoscientemente il contenuto. E poi sputare, o deglutire il tutto grazie all’aiuto di sane
Ok, è appurato: agli italiani la musica funk(y) proprio non va giù. Un’esterofilia stereotipata a senso unico, genuflessa solo in direzione di certe mode e modelli (santoni del classic rock, fattoni del circuito alternative, puttane del pop mainstream più platinato, profeti new wave nemici della fame nel mondo ma amicissimi del proprio, non esattamente terzomondista, conto in banca). E, sul fronte interno, troppi cantautori comunisti (ndSilvio) seriosi e dalle pretese intellettualoideggianti, più attenti ai
Artura, Agilulfa, Ermenegilda, Crocifissa e Maria Stronza (non ho voglia di cercare i nomi veri) furono le vincitrici di Pop Star nel 2001, una delle trasmissioni più loffie, diseducative e dimenticabili di tutti i templi. Ciò conferì alle suddette poveracce l’insano diritto di avere fior fior di produttoroni, visagisti, titillatori di capezzoli e ghost writer palestratissimi ai loro piedi. Allo scopo di adagiare sugli scaffali l’ennesimo compact disco del quale le tredicenni di tutto il globo sentivano fortemente il bisogno (un po’ come
Esco di casa dopo mangiato e percorro Via Mazzini. Mi avvolge un certo odore di piscio, sale nauseabondo dai rifiuti alieni ai lati. Gli occhi mi squadrano, mi giudicano, rintanati nei bar, barbuti dal barbiere. Ma io avanzo.
Ho già deciso, scavalco le obiezioni, gli abitanti. Incrocio mio padre, scuro in volto, sempre internamente incazzatissimo col mondo. Sicuramente ha già capito tutto. Con gli occhiali da sole sembra un modello egiziano, io stringo in mano dolorosamente le mie dodicimila lire.
Marina è una bionda etimologa dai grandi… occhioni blu che usa le sue proprompenti doti umanistiche per illustrare disinteressatamente l’origine e il significato delle parole. Hotforwords è il nick scelto dalla giovane intellettuale sfornafilmati che sta facendo strage di consensi e di spermatozoi sul Tu-Tubo. Non dovete pensare nemmeno per un istante che il motivo dello strabordante successo delle lezioni di Marina risieda nelle ampie scollature, negli abitini da palestra succinti o in quelle minigonnine vaginali
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